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PER RICORDARE

Le parole di Primo Levi sono una testimonianza agghiacciante del dramma vissuto dai deportati all’interno dei campi di concentramento. Egli racconta l’angoscia e il terrore del risveglio in un ambiente freddo , buio , in un letto che non è un letto, e di essere trattato come un animale , senza dignità. Il comando “ Wstawaç” è breve, violento, duro e pronunciato sommessamente, perché non occorreva urlarlo, si doveva obbedire e basta. Questo comando spezza la poesia in due parti ben definite. La prima parte è quella del passato, vissuto nel lager. Il sogno è l’unico momento di intimità che si possono concedere i prigionieri. Il sogno è un’esperienza totalizzante, nella quale anima e corpo sembrano unire le forze per fuggire da quell’orrore. Ciò che si sogna è la normalità, ovvero il tornare a casa, il mangiare con i propri cari, il raccontare le proprie esperienze. Tornare, mangiare, raccontare. Parole delle quali i prigionieri non conoscono più il significato. Ed ecco il comando che ordina di alzarsi e di tronare ad una realtà che è come una pugnalata al cuore. Nella seconda parte il passato lascia posto al presente,  nel quale i sogni sono diventati realtà. Dopo la liberazione alcuni dei deportati sono tornati a casa, hanno mangiato a sufficienza e hanno finito di raccontare le loro storie terribili e amare. Sono storie di persone che hanno visto morire i loro cari, il loro corpo maltrattato, la loro dignità calpestata. Quel passato terribile è ancora vivo e tornerà prima o poi se smettiamo di ricordare. Anche con questa bellissima poesia Primo Levi ci invita a ricordare o a meditare. Perché quando smetteremo di ricordare, quel comando aspro e secco ci farà ripiombare in una realtà atroce.

Matteo Riccardi

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