L'INESTIRPABILE COMANDO
«Sognavamo nelle notti feroci
Sogni densi e violenti
Sognati con anima e corpo:
tornare; mangiare; raccontare.
Finché suonava breve sommesso
Il comando dell’alba;
«Wstawać»;
E si spezzava in petto il cuore.
Ora abbiamo ritrovato la casa,
il nostro ventre è sazio.
Abbiamo finito di raccontare.
È tempo. Presto udremo ancora
Il comando straniero:
«Wstawać».
(11 gennaio 1946)
Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz, dopo la liberazione dal campo di concentramento per mano dell’armata rossa scrive “la tregua” dove narra il ritorno dal lager.
Per tregua si intende la notte, quella pausa che separava intere giornate infinite e concedeva di sognare ciò che il giorno vietava severamente.
“Sognavamo nelle notti feroci” scrive, come se ognuno condividesse il sogno dell’altro e se ne prendesse cura custodendolo insieme al proprio. Come se la quotidianità che apparteneva a tutti si riversasse nelle notti gelide che consumavano la forza fisica ma alimentavano il pensiero.
Si sognava la libertà, che non fosse limitata dagli ordini di un superiore ma dai pensieri comuni di pace.
Si sognava di poter esprimere pubblicamente la propria opinione mentre invece la si faceva soffocare in silenzio nel proprio cuore.
Finché la mattina, il comando pronunciato con tono basso ma perentorio, irrompeva nei sogni e svegliava i deportati conducendoli a una nuova giornata.
Il secondo paragrafo della poesia si riferisce invece al ritorno di Primo Levi dal lager e alla serenità provocata dalla propria casa.
“Ora abbiamo ritrovato la casa” scrive, ma una casa vera, che rappresenta i propri affetti e ritrovata in seguito a uno smarrimento, soprattutto personale perché costretti a soffrire nel lager nascondendo una parte del proprio essere.
Eppure si cerca ancora di negare l’accaduto e non credere alle testimonianze delle persone che nascondono ricordi oscuri dietro a un numero marchiato sulla pelle. Quando il ricordo per le vittime della Shoah non dovrebbe mai abbandonarci come il dolore inestirpabile dei deportati non abbandona la loro mente che percepisce ancora il comando straniero.
Francesca Malvaso